Articolo tratto dal blog di Paola Caridi, Invisible Arabs

29 Ottobre 2024 di Paola Caridi
Come in una spirale impazzita, le notizie si susseguono con una velocità che rende tutto magmatico. L’esercizio che occorre fare, a mio parere, è mettere tutto in ordine. Il quadro, allora, diventa più chiaro. Senza nebbia. Altrettanto colmo di orrore.
Cento persone circa, di cui un quarto bambini, sono appena stati uccisi stamattina nel bombardamento israeliano su un edificio di cinque piani a Beit Lahya, nord della Striscia di Gaza, dove in tre settimane le forze armate israeliane hanno già ucciso oltre mille persone, bombardato scuole divenute rifugio, bombardato ospedali, arrestato e condotto via in luoghi sconosciuti uomini e minori separandoli dalle donne (come a Srebrenica, per intenderci), costretto la popolazione civile a lasciare le case, i ruderi, i rifugi e dirigersi verso il sud della Striscia.
Il cosiddetto “piano dei generali”, che le forze armate stanno mettendo in atto nel nord della Striscia, è un piano che prevede tante di quelle violazioni del diritto internazionale da andare oltre la pulizia etnica e togliere qualsiasi dubbi sull’intento genocidiario nei confronti dei palestinesi.
Il Sudafrica ha appena consegnato alla Corte Internazionale di Giustizia (ICJ) una memoria di 750 pagine di testo e di 4mila pagine di prove e allegati, in sostegno all’accusa di genocidio nei confronti di Israele, perpetrata a Gaza contro la popolazione palestinese.
Negli stessi giorni, Israele ha continuato a bombardate il Libano (non solo il sud del Libano), anche in luoghi – come la corniche di Tiro – di cui difficilmente, molto difficilmente si può dire che si tratti di un obiettivo militare. Sembra un dettaglio, rispetto alle vittime umane civili, sottolineare che Israele ha bombardato luoghi di inestimabile valore dal punto di vista del patrimonio dell’umanità, in Libano come a Gaza. Come se, tra i bersagli, ci fosse (c’è!) la stessa appartenenza a una terra.
La Knesset, il parlamento israeliano, ha approvato a larga maggioranza, la sera del 28 ottobre, la messa al bando dell’UNRWA, l’agenzia dell’Onu che dalla fine degli anni Quaranta si occupa dei rifugiati palestinesi, causati dalla prima guerra arabo-israeliana e dalla cacciata a opera degli israeliani della popolazione nativa, indigena palestinese dalle proprie case e dalle proprie terre. A votare per la messa al bando non è stata solo la coalizione di governo, ma anche le opposizioni, smentendo nei fatti la lettura di una politica israeliana divisa tra Netanyahu e i suoi alleati, su un fronte, e l’opposizione, sull’altro. Israele si pone fuori dai suoi obblighi internazionali in quanto potenza occupante, e dalla legalità internazionale in quanto Stato facente parte dell’Organizzazione delle Nazioni Unite. L’UNRWA è un’agenzia che ha nell’Assemblea Generale l’organismo che decide il suo mandato. Il tentativo di Israele è quello di chiudere la questione palestinese eliminando il suo pilastro: i rifugiati palestinesi come espressione delle violazioni compiute contro di loro e contro il principio dell’autodeterminazione.
E’ la sintesi – fallace, sicuramente – di meno di 48 ore nella più pericolosa, orribile guerra che l’Asia occidentale (il Medio Oriente) ha mai visto dal 1948, e che al 1948 riporta. E’ da un anno che va avanti così, anzi, sempre peggio. Ho l’impressione che in Italia e in Europa non ci si renda conto di quello che sta succedendo. Della misura di quello che sta succedendo. E che persino guardare agli Stati Uniti come il centro della questione, in questi giorni e in queste settimane e in questo ultimo anno, faccia perdere di vista l’enormità di quello che sta accadendo a oriente del Mediterraneo, nella colpevole indifferenza di molti.
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