Articolo di Daniele Raineri
pubblicato su La Repubblica il 8/2/2023

Dalla prima scossa del terremoto più potente degli ultimi cento anni in Turchia e Siria, nessun aiuto organizzato è ancora arrivato nel Nord-Ovest siriano, in una regione abitata da quasi quattro milioni di persone. Settanta governi hanno fatto richiesta di aiutare la Turchia, quattordici richieste sono state già accolte e tremila specialisti internazionali in operazioni di soccorso sono già al lavoro. Nel Nord-Ovest siriano invece, dove la situazione è altrettanto grave se non di più, fino alla tarda serata di ieri non era ancora arrivato nessuno per colpa della situazione militare e politica.
Fonti locali dicono a Repubblica: “Non abbiamo nulla per tagliare i tondini di metallo dei palazzi crollati, non abbiamo i cani per trovare i sepolti vivi, non abbiamo personale specializzato e ce ne ne servirebbero migliaia, non abbiamo nulla, scaviamo a mani nude”. In queste ore circolano i video delle proteste della gente in Turchia per i ritardi nei soccorsi dei sopravvissuti rimasti sepolti vivi sotto le macerie. Eppure quella turca è una situazione incomparabilmente migliore rispetto a quella siriana dall’altra parte del confine. Ci sono luoghi che non sono ancora stati raggiunti, probabilmente c’erano persone salvabili sotto le case crollate ma nessuno per ora ha visto quelle case crollate. È anche arrivata la neve.

In tempi normali portare aiuti internazionali nel Nord-Ovest della Siria è complicato perché la regione è una enclave isolata e in guerra con il governo di Damasco, che rifiuta di concedere l’autorizzazione a entrare. Il ragionamento del regime è questo: siamo noi gli unici che formalmente possono portare aiuti a quella popolazione, perché sono siriani su territorio siriano – il regime non menziona il fatto che ormai da dodici anni quel territorio è fuori dal suo controllo, non si vede più un solo soldato o rappresentante di Damasco, è come se si fosse staccato dal resto del Paese e si amministra da solo. Grazie a un accordo garantito dalle Nazioni Unite, alcune organizzazioni non governative possono portare cibo e medicinali – e il loro ruolo è vitale, perché l’85 per cento dei quasi quattro milioni di abitanti della regione indipendente tira avanti grazie a questi aiuti.
L’accordo però va votato ogni sei mesi – a gennaio e a luglio – e viene usato per un tira e molla politico estenuante tra la Siria e la comunità internazionale, anche perché Damasco ha alle Nazioni Unite due alleati potenti: la Russia e la Cina. Inoltre l’accordo dice che questi aiuti possono passare da un valico soltanto, quello di Bab al Hawa, sul confine turco. Il 10 gennaio l’accordo è stato prolungato di altri sei mesi. Le associazioni umanitarie hanno implorato “dateci una durata di almeno dodici mesi così possiamo organizzarci meglio”, ma le loro preghiere sono state respinte.
Ora su quella situazione già critica è piombato sopra il disastro. Le strade che portano al valico di Bab al Hawa sono state tranciate dalle scosse e non sono più utilizzabili. Se anche lo fossero, nessuno ha ancora capito a chi chiedere l’autorizzazione formale per entrare (e nessuno sa chi garantisce la sicurezza dei soccorritori che arriveranno). Di solito a queste cose ci pensava la Turchia, che controlla tutto il confine Nord, ma in questi giorni deve pensare alla catastrofe in casa sua. Se il soccorso cosiddetto “cross-border”, attraverso il confine, non è possibile, una soluzione teorica sarebbe il cosiddetto soccorso “cross-line”, attraverso la linea che separa l’enclave ribelle dal resto della Siria. In pratica non funziona.

L’ambasciatore siriano alle Nazioni Unite, Bassam Sabbagh, ha detto che tutti gli aiuti internazionali devono passare per Damasco, ma la dichiarazione non è piaciuta per nulla. In questi anni il regime si è approfittato degli aiuti internazionali e ha creato un sistema per scremare una percentuale e trattenerla a suo beneficio, nessuno si fida. Un’inchiesta delle Nazioni Unite ha dimostrato che molte imprese che ricevevano appalti per distribuire e trasportare trasportare gli aiuti erano controllate dagli uomini di Assad. Inoltre c’è il timore che Damasco, come ha fatto in passato, usi il controllo sulla distribuzione come un’arma politica contro ogni singola città ribelle: se obbedisci ti portiamo cibo e medicinali, se non obbedisci non portiamo nulla. Per ora non concede l’uso di altri valichi.

Ned Price, portavoce del Dipartimento di Stato americano, ha detto che sarebbe il colmo
affidare gli aiuti americani per i civili siriani a un regime “che da anni massacra i siriani, li gassa
ed è responsabile per la maggior parte delle loro sofferenze”. Ha assicurato che
l’Amministrazione americana aiuterà il Nord-Ovest della Siria, ma farà passare le organizzazioni
umanitarie che sono sul posto “per aiutare, non per brutalizzare”.

Tags:

No responses yet

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *