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Hannah Arendt (in yiddish: חנה ארענדט) è stata una storica e filosofa tedesca naturalizzata statunitense, una delle più influenti teorici politici del XX secolo.

Nasce nel 1906 da una famiglia ebraica a Linden, in Germania; crebbe in un ambiente secolarizzato e politicamente progressista. Studiò filosofia con Martin Heidegger, di cui divenne discepola – e amante in segreto. Con l’ascesa del fascismo, si rifugiò in America.

La sua vasta produzione letteraria spazia su una vasta gamma di argomenti, ma è maggiormente conosciuta per le sue riflessioni sulla natura del potere e del male, la politica, la democrazia diretta, l’autorità e il totalitarismo.

Nel 1961 venne chiesto ad Hannah Arendt di seguire per il quotidiano New Yorker il processo contro Adolf Eichmann, un funzionario tedesco responsabile dello sterminio degli ebrei durante il periodo nazista, catturato in Argentina (dove si trovava come latitante sotto protezione del governo locale) dai servizi segreti e portato a Gerusalemme, in terra Israeliana dunque, per essere sottoposto a processo.

Otto Adolf Eichmann aveva coordinato l’organizzazione dei trasferimenti degli ebrei verso i campi di sterminio, dichiarando quindi come sua principale difesa il fatto che lui si fosse “occupato solo dei trasporti”, “ho fatto solo quanto mi è stato chiesto di fare”. Da qui nasce tutto il pensiero che l’autrice intende manifestare al mondo intero riguardo l’indifferenza e la superficialità con le quali questo uomo aveva partecipato al genocidio.

Ella si aspettava di trovarsi al cospetto di un mostro, incarnazione della violenza umana nella sua forma originale, pura e distruttiva: una figura tragica, quasi mitologica e spietata. Invece dovette fare i conti con la cruda realtà: si trovò davanti un uomo tanto geniale dal punto di vista logistico e organizzativo, quanto grigio e dozzinale funzionario, incapace di avere una riflessione su quanto commesso, incapace di avere un ragionamento proprio. Un uomo massificato, senza capacità di avere un ragionamento proprio. Tutte motivazioni che lo avevano poi spinto a unirsi al regime ed a partecipare attivamente a crimini feroci senza nemmeno capire cosa stesse facendo.

“Restai colpita dall’evidente superficialità del colpevole, superficialità che rendeva impossibile ricondurre l’incontestabile malvagità dei suoi atti a un livello più profondo di cause e motivazioni. Gli atti erano mostruosi, ma l’attore risultava quanto mai ordinario, mediocre, tutt’altro che demoniaco e mostruoso. Nessun segno in lui di ferme convinzioni ideologiche o specifiche condizioni malvagie, e l’unica caratteristica degna di nota che si potesse individuare nel suo comportamento fu: non stupidità, ma mancanza di pensiero.”

Da qui il suo libro La banalità del male: non c’è bisogno di geniali killer spietati e sadici per commettere un genocidio, basta l’assenza di riflessione, l’assenza di abitudine al pensare, non riflettere sulle conseguenze delle proprie azioni, il lasciare il proprio futuro e le decisioni a qualcun altro senza farsi domande.

Il titolo dell’opera fu inizialmente mal interpretato, poiché Hannah Arendt, ammettendo la banalità del male, non voleva banalizzare quel crimine senza precedenti nella portata, del tutto incomprensibile. Al contrario voleva rendere ancora più mostruoso ciò che era accaduto: Eichmann stesso non aveva rimorsi, né una coscienza che lo avesse portato nel tempo a maturare una riflessione sull’accaduto, egli stesso disse che “sotto il Nazionalsocialismo il male era la legge che regolava il tutto e lui non aveva pensato neanche per un solo istante di infrangere la legge”.

Monito quanto mai attuale per noi.

Diversi pazzi, che dicono cose folli e deliranti: “immigrati come virus” (come Eichmann definì gli ebrei in una delle sedute del processo), frasi che dovrebbero farci paura, dovrebbe farci sentire come dei piccoli nazionalsocialisti. Il totalitarismo si basa proprio sulla ricerca di sicurezze interne e chiusura delle frontiere, sulla creazione di un nemico esterno – per distogliere l’attenzione dalla crisi interna.

Davanti a diversi pazzi, la cosa più pericolosa è il silenzio e il tacito consenso dei tanti. Superficialità, disattenzione, disinteresse… mancanza di pensiero, dove ci si accontenta di risposte effimere e superficiali.
E così si rischia di comportarsi come Eichmann, diventando complici ignari ed inconsapevoli del male che può avvenire attorno a noi.

L’ olocausto non si vede, se ne sentono i rumori assordanti, giorno e notte, il fumo nell’ aria, i bagliori del fuoco, sai che c’è ma è dietro un muro, su cui fare crescere una vite così che il prossimo anno lo nasconda meglio, la tanta cenere servirà per concimare la terra per le rose.

E tu, ci sei?

Perché tutti questi morti, in guerra, nel mare, ci sembrano solo numeri?
Perché non ne parliamo già quasi più, notizie da fondo di giornale, dopo tanto bla bla bla sul nulla?
Perché sono dietro al muro? E anche io sto già piantando una vigna per non vedere?

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