di Luca Bergamaschi
apparso sul Corriere della sera del 28 gennaio 2023
Il Co-fondatore e direttore politiche internazionali di ECCO, il think tank italiano per il clima, sulla visita in Algeria della Presidente Meloni.
Dopo il viaggio in Algeria della Presidente Meloni c’è molta euforia rispetto alla prospettiva di rendere l’Italia l’hub europeo del gas attraverso nuove infrastrutture e nuova produzione di gas nel Mediterraneo e oltre. Si discute di rafforzare l’attuale collegamento Algeria-Italia, raddoppiare il TAP e aggiungere altri due rigassificatori fissi ai due galleggianti già previsti a Ravenna e Piombino, oltre a rendere l’infrastruttura compatibile con il trasporto di idrogeno. Lato produzione, si vuole raddoppiare quella nazionale, nel mar Adriatico e quella nei mari libici, egiziani, ciprioti, israeliani-libanesi e turchi
Rileviamo però l’assenza, nel dibattito generato da queste scelte, di considerazioni rispetto all’impatto di tale espansione relativamente agli obiettivi climatici, ai fondamentali di mercato, alla reale fattibilità e funzione dei gasdotti per l’idrogeno e a chi sosterrà i costi e i rischi di tale operazione. I maggiori scenari di decarbonizzazione, in linea con l’obiettivo di 1,5 gradi e neutralità climatica al 2050, partendo da quello dell’Agenzia Internazionale dell’Energia (AIE), sono molto chiari sull’incompatibilità di nuove infrastrutture e produzione di gas con il raggiungimento degli obiettivi climatici.
Infatti, la sicurezza energetica passa prima di tutto dalla sostituzione del gas con rinnovabili ed efficienza energetica. Ciò permette di controllare e diminuire la domanda di gas in tutte le geografie, anche a fronte di una popolazione in crescita. Secondo lo scenario decarbonizzazione della AIE, la domanda globale di energia scenderà del 23% nel 2050 rispetto al 2021, e con essa l’offerta di gas si riduce del 90%. La crescita illimitata della domanda globale di energia non è inevitabile.
Guardando alla domanda europea, la discesa dei consumi di gas è attesa in calo del 30-40% già nel 2030, grazie agli interventi del pacchetto RepowerEU. Un trend simile è atteso anche in Italia, se il nostro Paese farà gli interventi necessari per accelerare rinnovabili, efficienza ed elettrificazione del settore residenziale attraverso le pompe di calore. Stime ECCO mostrano che già nel 2025 questa combinazione può sostituire fino all’80% dell’attuale gas russo importato in Italia. Un trend già iniziato nel 2022, con una riduzione dei consumi di gas da parte di cittadini e imprese italiane pari al 15%, con una conseguente rapida contrazione dei prezzi. Inoltre, non possiamo strumentalizzare l’aumento temporaneo ed emergenziale dell’utilizzo del carbone in Europa nella prima parte dell’anno. Infatti, tale trend ha già invertito la rotta, tornando oggi a livelli inferiori del 2021. La traiettoria di uscita dal carbone in Europa e in Italia non cambierà rotta. Al contrario, l’aumento delle rinnovabili e la ripresa del nucleare francese ne accelereranno l’uscita.
Allo stesso modo, i centri studi europei E3G, Ember e Rap calcolano che a livello europeo questo mix verde può sostituire fino a due terzi del gas russo importato in Europa. Lo scarto rimanente sarebbe coperto da nuove importazioni di gas attraverso le infrastrutture esistenti.
Per quanto riguarda l’idrogeno, l’utilizzo dei gasdotti per il trasporto resta ancora tutto da verificare, poiché al momento è possibile «mischiare» solo piccole quantità di idrogeno, ed è improbabile che i bisogni di volumi e logistici attuali del gas coincidano con quelli futuri dell’idrogeno. Esso verra infatti verosimilmente prodotto in elettrolizzatori distribuiti all’interno di un sistema logistico radicalmente diverso da quello attuale del gas.
Infine, chi pagherà per queste infrastrutture e chi sosterrà i rischi economici e finanziari di un probabile mancato utilizzo? I costi graveranno molto probabilmente sui consumatori per decenni attraverso tariffe e spesa pubblica. E parliamo di costo delle infrastrutture e di impegni commerciali e di approvvigionamento di lungo periodo, garantiti in diverse forme dallo Stato, CDP o SACE.
Guardando al Mediterraneo, la decarbonizzazione dell’Europa rappresenta un alto rischio per i paesi esportatori di gas come Algeria, Egitto e Libia, se questi paesi, con il nostro supporto, investono in asset fossili che rischiano di rimanere inutilizzati e quindi svuotati di valore – ancor più nel momento in cui la promessa dell’idrogeno non si realizzi –, con gravi conseguenze sull’entrate pubbliche e quindi sulla capacità di garantire stabilità sociale.
Gli sforzi potrebbero invece concentrarsi per rendere l’Italia e il Mediterraneo un hub «verde» globale tra Europa, Africa e Asia. Rinnovabili, reti elettriche, batterie, efficienza energetica, materiali critici ma anche la messa in sicurezza dei sistemi idrici e alimentari in una delle regioni più colpite dal cambiamento climatico, dovrebbero formare i pilastri del nuovo Piano Mattei, un piano che guardi al futuro più che al passato.
L’autore è Co-fondatore e direttore politiche internazionali di ECCO, il think tank italiano per il clima
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